martedì 11 febbraio 2014

Diario - a Ryner - ventunesima pagina

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Caro Ryner,
sono giunta al Lago questo pomeriggio. Solo una volta aperta la porta di casa mi son resa conto di aver sperato, in fondo al cuore, di ritrovare mio padre qui, magari seduto a fumare in salotto con quella sua espressione un po' distante.
I sogni su di lui si sono susseguiti abbastanza spesso da darmi tregua dai miei soliti incubi... ma non so se davvero sarebbe corretto chiamarla così. E sebbene prima al mio risveglio fossi consapevole di una realtà diversa, ora non è più così. Quando apro gli occhi ciò che vedo continua ad essere una realtà in cui lui non è con me, proprio come nel sonno.
Credo di essermi attaccata sin troppo a lui... una vocina dentro di me sta iniziando a sussurrare "..non sei mai stata altro che sola e lo sarai sempre.."
Sì, una vocina del tutto sgradevole, che tento di ignorare come posso. Non ho alcuna intenzione di mollare. Sto scrivendo nel suo studio, in questa casa sin troppo grande per me sola. Per fortuna c'è Ardet che gironzola: deve ancora prender confidenza con l'ambiente. Per ora sembra che abbia definito come il suo angolo per dormire la mia stanza.
Sto cercando di tenerla in ordine, nonostante le mie ricerche... forse mi sto solo illudendo, ma non riesco a fare altrimenti.
Questo posto in fondo è come me: una promessa per il futuro stroncata sul nascere.
Il vuoto che mi porto dentro è riflesso in ogni oggetto, in ogni arredo, in ogni stanza di questa casa.
Mi sarei aspettata di più dalla mia libertà.